“Per troppo tempo, molti di noi si sono fatti incantare dagli ‘eroi’ . Forse per via del nostro desiderio di essere salvati, per non dover fare il lavoro duro, o per poter fare affidamento su qualcun altro per comprendere le cose. Siamo costantemente bombardati da politici che si presentano come eroi che risolveranno tutti i nostri problemi. È un'immagine seducente, una promessa allettante… e noi continuiamo a crederci. Da qualche parte c'è qualcuno che farà andare le cose per il meglio. Da qualche parte c'è un individuo visionario, stimolante, brillante, affidabile, e noi tutti lo seguiremo felicemente. Da qualche parte... Ebbene, ‘è giunto il momento per tutti gli eroi di tornare a casa’, come scrisse il poeta William Stafford. È giunto per noi il momento di lasciar perdere speranze e aspettative, che generano solamente dipendenza e passività e non forniscono alcuna soluzione alle sfide che abbiamo di fronte. Dobbiamo smettere di aspettare che qualcuno venga a salvarci . Dobbiamo affrontare la realtà della nostra situazione – ovvero che siamo tutti nella stessa barca e tutti abbiamo voce in capitolo – e capire come mobilitare i cuori e le menti di ognuno, nei nostri luoghi di lavoro e nelle nostre comunità”.
Margareth Wheatley.
Gli eroi hanno tanti nomi. C’è chi li chiama guru, ad esempio. Avinash Kaushik, uno dei più famosi
Google evangelist
, per indicarli ha coniato l’acronimo HiPPO:
Highest Paid Person in the Office
(la persona più pagata dell’ufficio).
In molti, per molto tempo, hanno fatto affidamento esclusivo sulla sua opinione, arrivando a pensare che fosse l’unica che contasse.
Chi non è d’accordo tace. Oppure mente, dicendo che è “assolutamente d’accordo” con lui.
Forse in passato l’opinione dell’HiPPO poteva davvero fare la differenza, ora non più. Il mondo di oggi è molto complesso. I consumatori sono cambiati e hanno esigenze nuove. Sono interlocutori attivi, che vogliono (e possono) esprimere il proprio parere.
Pensare che una sola persona possa avere il quadro d’insieme completo ed essere depositaria di una verità assoluta è semplicemente utopistico.
Oggi c’è bisogno di un punto di vista più ampio, anzi
.
C’è bisogno di tanti punti di vista
. Persone diverse con menti diverse, ognuna con il suo unico e personale sguardo sulla realtà. Tutti devono contribuire alla
crescita dell’azienda
. Prima ci si confronta, poi si
collabora
per mettere insieme i pezzi del puzzle e avere una visione completa.
È questa la base di una cultura aziendale che favorisce l’inclusione e la diversità
, condizioni imprescindibili per la crescita aziendale. Gli obiettivi, grandi o piccoli che siano, si raggiungono grazie allo scambio di idee di
molteplici figure professionali
(data analyst, SEO specialists, funnel specialists, UX designers, creativi, strategists, content creators…),
con background differenti
e
con un diverso livello di esperienza
. La maturità del
senior
, la freschezza del
junior
: tutti i punti di vista sono importanti. Non si deve più aver timore di parlare semplicemente perché la propria opinione è diversa da quella del capo. Ogni idea è potenzialmente buona, e per capirlo basta fare dei piccoli
test
. Un investimento minimo, che non mette in difficoltà l’azienda nel caso in cui l’idea dovesse rivelarsi sbagliata. Ma che può portare a grandi risultati.
Con gli
A/B test
si possono testare velocemente piccole variabili per verificare quale performa meglio
finché non si trova la soluzione migliore, e poi la si implementa su larga scala
: è questa la base del modello
build, measure and learn
ideato da Eric Ries in “The Lean Startup”. Fa niente se un’idea non funziona: basta raddrizzare il tiro facendo piccole modifiche, nel giro di poco tempo. Ed è un principio che può essere applicato anche alle grandi aziende: basti pensare che Google
ogni anno cambia il suo algoritmo tra le 500 e le 600 volte
.
Sbagliare. Riprovare. Sbagliare di nuovo. E infine farcela. È il segreto per crescere: piccoli passi alla volta, per inciampare senza cadere . Ma è una strada che può essere percorsa solo in compagnia.
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